Pierluigi Cappello, “poeta per condizione biologica”
Così si definiva Pierluigi Cappello, scomparso all’inizio di ottobre, che aveva vissuto in carrozzina da quando aveva 16 anni, ma che sempre sottolineava di essere diventato poeta “malgrado” la sua fragilità fisica e “non grazie” ad essa. E non solo poeta, era diventato Cappello, ma uno dei principali del nostro Paese, senza mai dimenticare il profondo attaccamento alla sua terra friulana, dov’era nato. «Aveva trasformato la sua vita stessa in versi – scrive Laura Sandruvi – usando la poesia per guardarsi l’anima, profonda e delicata, un viaggio solitario in questo suo luogo interiore»
Per la sua Regione, Pierluigi Cappello, scomparso prematuramente all’inizio di ottobre, non era soltanto un poeta, ma il figlio prediletto della cultura letteraria friulana.
Nato nel ’67 a Gemona del Friuli, ma originario di Chiusaforte, un paesino poco lontano dal confine con l’Austria e la Slovenia, Cappello ha ottenuto negli anni numerosi premi letterari: il Montale nel 2004 con Dittico, il Viareggio-Rèpaci nel 2010, il Vittorio De Sica nel 2012 e il Maria Teresa Messori Roncaglia ed Eugenio Mari per l’opera poetica, conferitogli nel 2013 dall’Accademia dei Lincei.
Dopo che la sua era diventata una vita in sedia a rotelle a causa di un incidente stradale all’età di 16 anni, aveva intrapreso la sua strada artistica e culturale, definendosi “poeta per condizione biologica”, trasformando la sua vita stessa in versi e usando la poesia per guardarsi l’anima, profonda e delicata, un viaggio solitario in questo suo luogo interiore. Lui, però, ci teneva sempre a sottolineare di essere un poeta malgrado la fragilità fisica, non grazie ad essa.
Le nebbie (Campanotto Editore, seconda edizione 2003) è il primo libro di poesie, uscito nel 1994, un po’ di anni dopo l’incidente che gli aveva cambiato drasticamente la vita. Successivamente arrivano altre opere e saggi che negli anni gli permettono di ottenere una grande visibilità in àmbito letterario.
«Col tempo, il letto si è trasformato in un tappeto volante», scrive Cappello in Questa libertà, ove si muove come in una “stanza dei bottoni”, nel suo posto all’aperto che gli ridona la libertà, la comprensione, quasi che le parole leniscano i dolori e la fatica. La poesia come rimedio, come potente alchimia, l’unica in grado di ridare pace e amore.
Dai primi libri in cui si trova la sua ricerca della felicità contro un destino avverso, si arriva alle poesie sentimentali, che usano alcuni elementi della natura, il sole, il vento, le foglie e le stagioni, trasformandoli tutti in intensi versi poetici.
Nel 2006 quasi tutte le raccolte delle sue poesie escono nel volume Assetto di volo, curato da Anna De Simone (Crocetti Editore), libro che gli vale il Premio Nazionale Letterario Pisa, il Bagutta 2007 (Sezione Opera Prima), il Superpremio San Pellegrino 2007, il Premio Speciale della Giuria Lagoverde 2010.
Una nuova raccolta di versi, Mandate a dire all’imperatore, con postfazione dello scrittore Eraldo Affinati (Crocetti Editore), viene poi pubblicata nel 2010, aggiudicandosi, come detto, il Premio Viareggio-Repaci.
Il 27 settembre 2013 l’Università di Udine gli conferisce la laurea honoris causa in Scienze della Formazione e il 5 dicembre di quello stesso anno riceve dalla città friulana la cittadinanza onoraria, così come farà anche il Comune di Tarcento, dove Cappello aveva creato e diretto per anni la rassegna intitolata Lo sguardo della poesia, restare umani. Percorsi di poesia contemporanea.
E ancora, nel cuore del Festival Vicino Lontano, il 17 maggio 2014, al Teatro Giovanni da Udine, vince il Premio Letterario Internazionale Terzani e qualche mese dopo, il 20 settembre a Pordenone, presenta il suo nuovo libro, dedicato ai bambini, Ogni goccia balla il tango (Rizzoli).
Infine, il 24 novembre del 2016, viene presentata la sua ultima raccolta, Stato di quiete(Rizzoli, 2016), con una prefazione di Jovanotti, seguita da una sua nota introduttiva, ove scrive: «È questo che mi interessa dello stato di quiete: mi vengono in mente le bottiglie di Morandi, stanno lì, composte, allineate o sparse nella loro rarefazione, ma quanto fermento c’è dentro quell’immobilità? O quanta energia potenziale c’è nei corpi fermi di Hopper? Come se fossero colti prima o dopo un diluvio, prima o dopo un evento tragico o sacro».
In sei anni di quiete apparente, dal suo tumulto interiore, erano nate trenta poesie, sorta di viaggio attraverso momenti che si fanno eterni, dove i ricordi diventano istantanee lucide e il futuro appare presente e imperativo. Un’opera in cui traspare tutta la più profonda sensibilità e il talento di questo poeta, insieme all’attaccamento alla sua terra.
Non a caso l’Università di Udine ha annunciato recentemente l’impegno ad organizzare un seminario di riflessione sull’opera di Cappello, per dare un segno di gratitudine nei confronti di un poeta che ha lasciato un patrimonio di grande esposizione culturale, permettendo di cogliere il vero delle cose, una realtà invisibile allo sguardo normale, ma che grazie alle sue parole diventa visibile.
Vorrei chiudere questo omaggio con Piove, una delle poesie che ritengo tra le più belle di Pierluigi Cappello, tratta dalla raccolta Mandate a dire all’imperatore. E questo per trasmettere anche ai Lettori una nota di grande emozione che solo le parole di Pierluigi sanno dare:
«Piove, e se piovesse per sempre / sarebbe questa tua carezza lunga / che si ferma sul petto, le tempie; / eccoci, luccicante sorella, / nel cerchio del tempo buono, nell’ora indovinata / stiamo noi, due sguardi versati in un corpo, / uno stare senza dimora / che ci fa intangibili, sottili come un sentiero di matita / da me a te né dopo né dove, amore, nello scorrere / quando mi dici guardami bene, guarda: / l’albero è capovolto, la radice è nell’aria».
Testo di Laura Sandruvi da Superando.it