La grande sfida di Antonio Spica
Antonio è nato a Carini in provincia di Palermo ed è vissuto in Sicilia fino all’età di 27 anni, quando una lesione al midollo spinale, causata da un incidente in moto, gli ha fatto perdere l’uso delle gambe. Antonio ha una forte tempra e, nonostante l’uso della carrozzina ha fatto da solo gli 880 km del cammino di Santiago. Ha anche fondato un’associazione che promuove turismo accessibile, sport e integrazione sociale. Come lui stesso descrive, “non ha mai smesso di credere che esistesse la possibilità di tornare a deambulare, anche grazie a un ausilio tecnologico”.
Il progetto STAND-ALONE ha realizzato questo sogno e Antonio ha potuto imparare a usare un esoscheletro che permette alle persone con lesioni al midollo spinale di alzarsi in piedi e dembulare meccanicamente.
È opportuno subito sgombrare il campo da facili - e potenzialmente dolorosi - equivoci. Un esoscheletro, con il livello di tecnologia attualmente disponibile, non può sostituire la carrozzina. Usando le parole di Antonio: ″È un modo diverso di fare ginnastica, riabilitazione integrata allo sport. E, soprattutto, un mezzo per provare l’emozione di rialzarsi in piedi e simulare due passi.”
Il progetto STAND-ALONE è un’iniziativa della Fondazione Ania in collaborazione con Fondazione Universitaria “Foro Italico” e l’Università di Roma Sapienza. È rivolto a tutti coloro che hanno subito una lesione al midollo spinale a seguito di un incidente stradale. Nasce con l’obiettivo di offrire un programma di allenamento gratuito basato sull’uso di ReWalk, un esoscheletro robotico grazie al quale è possibile trascorrere alcune ore della giornata in posizione verticale, muoversi e interagire con l’ambiente circostante.
Parallelamente al programma di allenamento con ReWalk, tre gruppi di ricerca della Sapienza si occupano, rispettivamente, di verificare i progressi psicologici, della rappresentazione del proprio corpo (embodiment) e delle caratterisctiche del sonno di chi partecipa al progetto. La parte scientifica del progetto è anche risultata vincitrice del bando Ricerca Finalizzata 2018 del Ministero della Salute.
Antonio, entrato con entusiasmo nel progetto, si è sposato pochi giorni fa, nel Duomo di Monreale. Con l’occasione è stato accompagnato da (bravi e generosi) operatori del programma, da una ricercatrice e dal suo esoscheletro. Il giorno precedente il matrimonio tutti sono stati a casa dello sposo a pranzo, insieme ad Antonio, anche per abituare il papà. Il papà, a differenza di mamma e sorella che avevano visto qualche video, non lo aveva mai visto deambulare con l’esoscheletro.
Difficile resistere alla commozione e bellezza di queste scene. Ci sono delle volte in cui la ricerca di senso paralizza e intristisce la vita di chi fa lo studioso. Ma la ricerca di senso accompagna molti, anche al di là della ricerca scientifica.
Un padre che, nonostante il sole cocente, continua a cuocere la carne sul barbecue, per tutti gli invitati per ore, senza mai lasciare la sua postazione. Un papà che sta zitto, in disparte, sopportando un nodo alla gola per anni.
“È un nodo alla gola, che continua a non scendere e fa male. È dura”.
Ha aspettato 15 anni con quel nodo alla gola, ma ora può riabbracciare il proprio figlio ritto, sostenuto dall'esoscheletro.
Poi Antonio ha fatto le prove nel Duomo. Per non sbagliare i passi o i movimenti ha scelto di inserire una velocità più lenta rispetto al training, per essere più sicuro di sé e mantenere un maggiore controllo del busto e dell’andatura.
Nel Duomo gremito di invitati e turisti, Antonio si è sposato. Tutti attratti e incuriositi dal suo esoscheletro e dalla capacità di Antonio di utilizzare quell'ausilio. Due lunghi applausi, uno appena ha iniziato a deambulare, un all'arrivo. Nonostante l’enorme fatica e sforzo delle mani (per tenere il peso sulle stampelle) Antonio è rimasto fermo in postura eretta per circa un’ora.
Ha avuto il suo regalo. Sposarsi rimanendo “all’altezza” della moglie che lo guardava innamorata. La moglie non sapeva dell’esoscheletro, lui ci teneva a farle una sorpresa.
Ci teneva a essere in piedi, doveva essere in piedi e in piedi è stato. Non è un caso che si usi l’espressione, che mi piace molto nella versione spagnola, hombre vertical.